Quello che vi racconterò oggi vi sembrerà assurdo ma solo perché siete alle primissime armi: pensare al lavoro a maglia come un modo per rilassarvi, ora che quando lo fate siete concentrate su come tenere i ferri, dove far passare il filo, quale tensione giusta tenere....vi sembrerà impossibile, ma vi assicuro che una volta apprese le prime basi, poi non potrete più farne a meno.
Oggi inizio col srotolare un po' del mio filo ed annodarlo ad un'altra storia.
Il lavoro a maglia mi ha accompagnato in tutti i momenti della mia vita: sferruzzavo da bambina, poi da grande quando aspettavo con trepidazione i miei due bambini!
Tre mesi fa ho perso mio papà, si chiamava Filiberto e ,già nel nome, conteneva quei FILI che mi legavano indissolubilmente a lui.
Era in ospedale a causa dell'aggravarsi della sua malattia ed io tutti i giorni, per tutto il giorno ero con lui...la sera tornavo nella mia casa di origine sfinita dalla stanchezza, dal dolore e dal pensiero di quello che sarebbe successo. Aspettavo che mia mamma andasse a dormire, poi, nel silenzio assordante di quella casa che era stata il mio nido, prendevo i miei ferri e cominciavo a sferruzzare. Dritti e rovesci che scorrevano tra le mie dita, che lenivano un dolore grande facendo riaffiorare solo i ricordi, quelli belli, i momenti, quelli felici...e tutte quelle emozioni rimanevano intrecciate nel mio scialle che ho chiamato "Caldo Abbraccio".
Mentre sferruzzavo, tutte le sere per quelle due settimane, mi ricordai di una storia, che avevo letto qualche anno fa nel libro "Sul filo di lana" di Loretta Napoleoni, è la storia di un'americana che, dopo aver perso suo padre, iniziò a lavorare a maglia per mantenere vivo il suo ricordo.
"La donna era stata cresciuta dal padre e dal nonno, originari della Norvegia,una terra famosa per i modelli di maglia tradizionali e le leggende. Il nonno e il padre conoscevano tante storie popolari ed erano bravissimi a raccontarle, quindi, la sua infanzia era stata piena di fiabe sui troll e i nisser, i folletti dispettosi dal tipico copricapo rosso a punta. Imparare a lavorare a maglia come una tipica norvegese le sembrò il modo migliore per tener viva la memoria dei suoi cari, per gettare un solido ponte di ricordi fra passato, presente e futuro.
Si procurò i ferri circolari, il modello di uno scaldacollo norvegese, il filo e guardò un tutorial su YouTube. Iniziò ad avviare le maglie. Le ci volle un po' per imparare a farlo, tanto che continuava a mandare indietro il video e a riguardare il procedimento. Quando finalmente capì i suoi punti erano irregolari: alcuni troppo lenti, altri troppo stretti. Ma non si diede per vinta e continuò finché non si rese conto che stava facendo un pasticcio (...). Trascorse giorni e giorni a fare e disfare, ogni volta accorgendosi di aver commesso errori nuovi. Eppure riavviava le maglie con la stessa determinazione e lo stesso impegno della prima volta. Non cedette alla frustrazione, perché quel sentimento le era estraneo. (...) Trascorse giorni e settimane a sferruzzare e a disfare...quando finalmente finì lo scaldcollo, lo salutò come un vecchio amico, uno che, durante le settimane di lutto, le aveva tenuto la mano tremante mentre avviava le maglie, lavorava di diritto e di rovescio e disfaceva il lavoro decine e decine di volte".
Buona giornata , Federica
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