"C'è stato un tempo in cui i fusi e gli arcolai della valle producevano fili sottilissimi e preziosi, sotto l'abile guida di mani femminili. Canapa e lino dei nostri campi si trasformavano in trame morbide, che fiori e piante tingevano dei colori esuberanti della vita. Quel tempo se ne è andato ed io mi sento triste".
Ricordare è nostro dovere e responsabilità ed è per questo che oggi vi racconto uno dei libri più belli che abbia mai letto...perché non venga dimenticata la storia delle Portatrici.
"Lassù hanno bisogno di noi e noi rispondiamo alla chiamata. Alcune sono ancora bambine, altre già anziane, ma insieme, ogni mattina, corriamo ai magazzini militari a valle. Riempiamo le nostre gerle fino a farle traboccare di viveri, medicinali, munizioni, e ci avviamo lungo gli antichi sentieri della fienagione.
Risaliamo per ore nella neve fino alle ginocchia, per raggiungere il fronte. I cecchini nemici ci tengono sotto tiro. Ma noi cantiamo e preghiamo mentre saliamo con gli scarpez ai piedi. Ci aggrappiamo agli speroni con tutte le nostre forze, proprio come fanno le stelle alpine, i 'fiori di roccia'. I soldati ci hanno dato un nome, come se fossimo un vero corpo militare: siamo Portatrici, ma ciò che trasportiamo non è soltanto vita. Dall'inferno del fronte alpino noi scendiamo con le gerle svuotate e le mani strette alle barelle che ospitano i feriti da curare, o i morti che noi stesse dovremo seppellire".
In questo libro, Ilaria Tuti ci racconta la storia delle Portatrici, figure dimenticate dalla storia perché la storia è stata sempre raccontata da uomini, che hanno parlato di uomini è volutamente lasciato nell'oblio quella storia fatta dalle donne.
L'autrice, grazie alla sua penna e alla voce di Agata, protagonista della storia, restituisce loro ciò che erano e che sono: indimenticabili.
Prima Guerra Mondiale, fronte italiano della zona Carnia,, sulle vette, ai soldati servono medicinali, viveri, ma anche munizioni. Sono luoghi impervi che non si possono raggiungere né con veicoli né mulattiere, si tratta di salire per ore lungo pendii difficili....i soldati hanno bisogno di aiuto e le donne non si tirano indietro. si mettono a disposizione dei comandanti militari per trasportare a spalla loro stesse quanto serviva agli uomini lungo il fronte, rifornendo una linea di combattimento di un'ampiezza di circa 16 Km.
I soldati, per vivere e combattere nelle migliori condizioni dovevano essere riforniti quotidianamente di munizioni, medicinali, cibo...le Portatrici allora riempivano le loro gerle con granate, viveri, cartucce..portando sulle spalle un peso di circa 30 Kg.
"Le cinghie di cuoio mi stanno entrando nella carne, e so che é soltanto l'inizio. Il carico sembra volerci far avvitare nella terra, quando invece i piedi dovranno volare per raggiungere la cima"
Partivano a gruppi di 10 o 20 donne per la montagna superando con ogni tempo dislivelli dai 600 ai 1200 metri ogni giorno. Giunte a destinazione sostavano qualche minuto per riposare e poi si rimettevano in cammino per far ritorno a casa, alle propri famiglie. A volte veniva loro chiesto di portare con sé, sulla via del ritorno barelle con feriti o caduti in guerra.
"Lucia e Caterina estraggono ciascuna quattro ferri da maglia dalle tasche dei grembiuli, per confezionare guanti, calze e berretti per l'inverno. si mettono a sferruzzare senza aggiungere una parola, l'animo talmente modellato sul lavoro da non concedersi l'ozio nemmeno durante la salita" .
Le Portatrici non trasportano soltanto munizioni, viveri, medicinali, ma decidono di portare ai soldati anche una cura per la loro anima, portano parole importanti, quelle affidate dai famigliari alle lettere, parole che si fanno fili, fili di una vita così diversa da quella che stanno vivendo, e allora il confine tra soldato e ragazzo si fa più sottile.
"Quando capiscono che cosa trasportiamo, altri arrivano ed è quasi un'aggressione. Mani che frugano, che spingono, che strappano le gerle dalle schiene anchilosate. Gli spallacci rompono le vesciche e il dolore esplode, più forte delle bombe (...) cercano più parole di conforto che scorte di cibo".
Anche quando sono nelle loro case, quando la fatica ha tolto loro ogni forza e il ricordo dell'orrore della guerra rimane cucito alla loro anima , queste donne continuano la loro missione: "abbiamo cucito per ore, per una notte intera, fino a spellarci i polpastrelli e sentirli bruciare contro lo spago. Abbiamo proseguito alla luce dell'alba, fino a quando il sole ha invaso il fienile attraverso i graticci. Abbiamo battezzato gli strati di stoffa con il sangue delle dita e la speranza di cuori di donna. Qualcuna ha impuntito medagliette con l'effigie della Vergine Maria nelle suole e ricamato una minuscola croce sfolgorante del Cristo Redentore sul velluto nero. Gli scarpez dei soldati sono stati fatti con le nostre sottane più lucide e preziose. Nessuna ha voluto che quei ragazzi andassero in battaglia con stracci e vecchie pezze".
Perché "Fiore di roccia"? I soldati avrebbero desiderato, in un'altra condizione, donare delle rose a queste donne ì, fiori che erano, chiaramente irreperibili, scelsero quindi le resilienti stelle alpine dicendo loro. "é questo che siete. Fiori aggrappati con tenacia a questa montagna. aggrappati al bisogno, sospetto, di tenerci in vita."
In ognuna delle donne raccontate in questo libro c'è un pezzetto importante della donna che è il imbolo delle Portarici: Maria Plozner Mentil
"unica donna a cui sia stata intitolata una caserma, oltre che la prima a ricevere, anche se solo nel 1997, la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Proprio il non essere state militarizzate ha fatto sì che non solo non ricevessero il sostegno economico spettato invece ai soldati che avevano combattuto nel conflitto, ma soprattutto le ha fatte dimenticare molto a lungo. Eppure, per chi al fronte si trovava davvero, le Portatrici erano considerate al pari di un reparto, e veniva loro rispettosamente rivolto il saluto militare. Maria Plozner Mentil era una giovane madre, venne colpita da un cecchino mentre saliva a consegnare i rifornimenti. Fu sepolta con gli onori militari sotto i bombardamenti, in presenza di tutte le sue compagne e di un picchetto militare. Ora si trova nel Tempio Ossario di Timau, insieme a 1626 alpini, fanti e bersaglieri. All’ingresso, la scritta: «Ricordati che quelli che qui riposano si sono sacrificati anche per te»".
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