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"Le Ricamatrici" di Ester Rizzo



"Chissà se c'è mai stato veramente un tempo in cui era possibile sognare, immaginare e credere in un mondo migliore (...) la storia di Filippa e delle ricamatrici di Santa Caterina di Villarmosa ci riporta a una stagione in cui sembrava facile e scontato schierarsi dalla parte giusta, dalla parte dei diritti contro la prevaricazione, dalla parte del lavoro contro lo sfruttamento, dalla parte delle donne contro la prepotenza maschile"     (Gaetano Savatteri)


Questa è la storia di tre donne coraggiose, Filippa Pina e Orsola Rotondo e delle loro ricamatrici, di donne combattenti, di donne disobbedienti,  è la storia di una rivolta sindacale, tutta al femminile avvenuta negli anni Settanta in Sicilia.

Siamo a Santa Caterina di Villarmosa, un piccolo paese di 5000 anime nella provincia di Caltanisetta, "le caterinesi, donne laboriose, hanno sempre posseduto il dono di un'antica e nobile arte tramandata per secoli di madre in figlia: il ricamo. (...) dalle loro abili mani nascono meravigliosi capi di biancheria ricamata: coperte, lenzuola, tende, tovaglie sottovesti...insomma tutto quello che è dispensabile per un corredo di una ragazza in età da marito".

"Grandi lenzuola bianche con il bordo sfilato, splendide tovaglie a punto ombra o a punto rodi, ricamate tra chiacchiere e canzoni da donne di tutte le età sedute davanti alle soglie di casa"

Nel Dopoguerra, quella che era un'arte che nasceva per realizzare preziosi corredi di famiglia (spesso ci si indebitava per avere i pezzi più pregiati e più belli da esporre pochi giorni prima delle nozze) o su ordinazione di signore ricche ed importanti che vivevano lontano, richiama l'attenzione dei committenti delle ditte produttrici di biancheria che si avvalevano di intermediari locali. "Erano uomini ingordi senza scrupoli, che  pagavano con pochi spiccioli e spesso invece dei soldi rifilavano la merce dei loro negozi conteggiandola a prezzi esorbitanti".
Filippa Pantano è una donna energica e combattiva, è stata emigrata in Germania ed è tornata in paese, sulle prime  accetta di consegnare loro qualche ricamo poi si rende conto che quel rapporto tra le ricamatrici, prive di assicurazione e di garanzie contrattuali, e i committenti-intermediari è insostenibile. "Ci massacravano di lavoro, dall'alba al tramonto. Realizzavamo dei veri capolavori per poi essere pagate con dei compensi irrisori: trenta lire l'ora".

Prese coraggio allora Filippa e si fece portavoce di tutte quelle donne "Decisi di raccogliere le lacrime di rabbia di tutte queste donne e di trasformare la loro disperazione in lotta".

Con il '68  un'aria progressiste e un vento di speranza arrivò anche a santa Caterina, portando con sé la convinzione che anche qui potevano e dovevano cambiare.

Nel 1973 Filippa fonda insieme alle figlie, Pina e Orsola, e alle sue vicine di casa, la Lega delle Ricamatrici, sostenuta dall'UDI dal PCI e aderente alla CGL. A Santa Caterina di Villarmosa si contarono ben 875 iscritte, un numero straordinario se si pensa che l'intera popolazione era di soli 8500 abitanti.La casa di Filippa divenne "il luogo delle riunioni, le porte sempre aperte, un punto di riferimento per tutte". 

Cominciano così le trattative con gli intermediari, si cerca di valutare i singoli capi ricamati in base alle ore di lavoro e di stabilire una paga adeguata, almeno di 150 lire l'ora. Dopo molti tentativi andati a vuoto, viene indetta una grande manifestazione cittadina con corteo che coinvolge l'amministrazione comunale.
In aiuto e sostegno a Filippa e alle ricamatrici arrivano le donne politicamente impegnate di Palermo che leggono nella lotta delle donne di Santa Caterina il simbolo di una lotta più grande per l'emancipazione femminile e i diritti al lavoro.

Si recano personalmente a Santa Caterina di Villarmosa per esprimere a quelle donne coraggiose tutta la loro solidarietà ed inizia una campagna di diffusione di questa vicenda  in tutta la Sicilia, del resto ovunque era diffusa questa antica tradizione del ricamo a domicilio, in ogni provincia, da Agrigento, Ragusa, Siracusa fino a Taormina, ovunque!
Il risultato raggiunto fu la diffusione delle leghe di ricamatrici in tutta l'isola e si arrivò ad una manifestazione di quasi 1000 donne a Palermo nei primi di giugno del 1973.
Venne approvata in Parlamento una legge, la n°877 del 18 novembre 1973,  che disciplinava il lavoro a domicilio ma purtroppo tale legge fu difficile da applicare nella realtà, tanto da cadere in disuso.
Le ricamatrici non si arrendono , vanno avanti e, sostenute da Filippa e dalle sue figlie, Pina e Orsola,  costituiscono nel 1977 una cooperativa, La Rosa Rossa.

All'inizio reperire lavoro fu un'impresa ardua , vengono ignorate dalle aziende e boigottate da tutti quegli intermediari e i committenti che, coraggiosamente, avevano portato in tribunale. Qualche ordine arriva da donne benestanti che commissionavano loro corredi per figlie e nipoti...ma nulla oltre questo, fino a quando, ottenendo visibilità dai media per lo scalpore che avevano provocato con la loro vicenda di ribellione per difendere e salvaguardare i propri diritti di lavoratrici, arrivò una chiamata da una grande azienda di biancheria, Frette.

L'entusiasmo delle ricamatrici è alle stelle, ma, dopo una prima fornitura e un pagamento, questa azienda non avvierà gli ordini sperati..."l'influenza" dei mediatori era arrivata anche lì.
Dopo alcuni anni Filippa si vide costretta a chiudere la cooperativa, tornò a malincuore a coltivare l'orto di casa e le proprie figlie, le rispettive famiglie...ma, nella memoria di Santa Caterina di Villarmosa il ricordo della loro mobilitazione e la loro lotta resterà per sempre.

" Senza dubbio questa è una storia di lotta delle donne per ottenere i loro diritti di lavoratrici ed è anche, purtroppo, la storia di una sconfitta a causa di intimidazioni mafiose. Non si perdonò alle ricamatrici l'ardire di avere trascinato nei tribunali committenti ed intermediari e di avere ottenuto giustizia. 
Non si perdonò loro il coraggio dimostrato per sovvertire la quiete sociale mafiosa che regnava in quegli anni nel territorio. 
Non si perdonò a queste donne di aver arginato lo stereotipo che le voleva docili, sottomesse, mute e obbedienti come 'pupattole di cencio'"  ( Ester Rizzo)








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